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STORIA DELLA SPELEOLOGIA PALERMITANA
Giovanni Mannino


Introduzione

La speleologia come scienza autonoma  nasce ovunque molto tardi sulle orme degli studi naturalistici e soprattutto di Paleontologia dei vertebrati.
Per la Sicilia non ci sembra si possa indicare una data e forse non è ancora possibile parlare di Speleologia nella pianezza del termine trattandosi di attività che non ha mai raggiunto quella vastità d’interessi e di ricerche che questa disciplina abbraccia.
Dal rinvenimento casuale di ossa di "Giganti", nella Grotta di Martogna alle falde del Monte Erice, di cui per primo riferisce Giovanni Boccaccia e successivamente Tommaso Fazello nel capitolo"Degli abitanti della Sicilia", e della successiva ricerca di queste ossa per curiosità e commercio, si passa ad una fase di studio dei depositi antropozoici dal punto di vista paleontologico e, successivamente paletnologico.
Nei primi decenni del XX secolo nasce un certo interesse per gli studi di carsismo di superficie e, fra le due guerre mondiali, hanno luogo le prime esplorazioni di cavità sotterranee che daranno vita alla fase di documentazione la quale, anche se posta in secondo piano rispetto a quella scientifica, è certamente fondamentale per la conoscenza dei fenomeni sotterranei; è il primo passo di una serie di più complesse ricerche.
Le prime notizie di cavità naturali ci giungono quindi in funzione  del rinvenimento di ossa di "Giganti", disperse nei depositi antropozoici di molte grotte. Fino a tutto il secolo XVIII (Mongitore A., 1742) i "Giganti" erano stati considerati come i primi abitanti della Sicilia (Fazello, 1830). Questa credenza nasceva proprio dal rinvenimento di ossa fossili di grandi mammiferi, Elefanti ed Ippopotami, ma anche ossa di ursidi, di bovidi, di equidi, di cervidi, quest’ultimi generalmente ignorati, che venivano attribuiti a Ciclopi in quanto la fossa nasale dell’Elefante veniva interpretata come fossa orbitale di mitici Ciclopi.
Già allora non manco qualche giusta interpretazione.
Sul Giornale Officiale del 1830 per merito di Bivona Bernardi si sviluppa un dibattito sulla reale natura ed origine di queste ossa. Seconda alcuni le ossa sarebbero appartenute agli Elefanti dei Cartaginesi vinti dai Romani in battaglia nei dintorni di Palermo, seconda altri sarebbero appartenuti ad Ippopotami che perirono nei giochi della supposta Tauromachia, che avrebbe avuto luogo presso Maredolce. Gli Ippopotami sarebbero stati importati in Sicilia dagli Arabi ed allevati nei loto parchi, "a diletto delle donne" secondo Domenico Scinà (1931).
Nel 1831 Domenico Scinà per incarico del Governo Borbonico compie una scavo nella Grotta dei Giganti o di San Ciro di Maredolce e facendo tesoro degli studi di Anatomia Comparata del Cuvier, riconosce la natura fossile delle ossa attribuendole a specie animali simili alle viventi ma estinte.
La ricerca di ossa di "Giganti", di cui si fece largo commercio portò all’asportazione dei depositi di un numero notevole di grotte, tale opera e la  periodica asportazione del letame accumulatosi per l’uso ad ovile o a stalla sono state tra le cause principali dello svuotamento delle cavità. Di questi fatti abbiamo la testimonianza di un noto studioso, H. Falconer, che, a proposito, riferisce. "In 1829  there Was a great  demand for bones the manufacture of-lamp-blak for sugar-refing. The superficial bones of the San Ciro cavern were collected in large quantities and exsported to England and Marseilles. Professore Ferrara states, that within the first six months 400  quintals were procured from San Ciro. The great majority belonged to two species of Hippopotamus. In one haep, out of several shiploads sent to Marseilles, De Cristol , an able palaeontologist, had found that in a weight of thirty quintals all the bones belonged Hippopotamus, with the ewception of six derived from Bos and Cervus.

Le prime descrizioni.
La prima descrizione di una cavità, per quanto riguarda il nostro territorio, è quella della Grotta di Santa Rosalia scritta dal Cascini nel 1651, cioè qualche anno dopo del rinvenimento di ossa nella grotta, ossa che furono attribuite in blocco alla Santa Eremita. Lo studioso nel suo volume da anche la pianta della grotta, la prima da quanto ci risulta di una grotta siciliana, che consente di conoscere l’esatta situazione dell’ingresso precedente al notevole allargamento che ha trasformato del tutto la parte anteriore della grotta.
La Grotta di Santa Rosalia, sul Monte Pellegrino, è una delle grotte più conosciute in Sicilia e fuori dell’isola.  Numerosissime le descrizione, da quella stringata del Cascini che al contempo fornisce anche le misure dell’ampiezza della grotta, a quella suggestiva e romantica del Goethe che fu tra quelle che contribuirono a far conoscere la grotta fuori i confini d’Italia: "Un gran silenzio regnava in quel luogo deserto che ora pareva restituito alla morte, una grande lindura in una grotta selvaggia…".
Un primo breve elenco di cavità è fornito dal Massa (1709, I, pp.154-164). Le grotte cui si accenna non hanno interesse speleologico ma etnologico e religioso trattandosi di cripte e chiese  scavate nel sottosuolo di Palermo costituito di calcarenite, roccia piuttosto friabile. Lo studioso riporta la Grotta di San Calogero sotto l’antica chiesa di San Cosma e Damiano e la Grotta del Gazo nel Monte Iato in territorio di San Cipirello da localizzare nel riparo sotto roccia dove sono i ruderi della Chiesetta di San Cosmo.Maggiori notizie si ricavano  con la lettura delle voci  che però peccano di scarsa precisione e dunque la loro utilizzazione necessita di una buona con oscena del territorio.
Più nutrito è l’elenco di "Grotte e Caverne memorabili di Sicilia" pubblicato poco dopo dal Mongitore (1742, II, pp.301-323). L’autore riporta dal Fazello la Grotta di Piratino ora conosciuta come Grotta Armetta, ancor prima dei "Giganti", ora Grotta dei Puntali (Mannino G., 1978) ai piedi della montagna Longa di Carini, divenuta da qualche anno Riserva Naturale; dal Cascini la già ricordata Grotta di S. Rosalia; ancora dal Fazello (1830, pp.88-89) e da autori di poco posteriori come il Chircherio (1678, c.4) ed il Valguarnera (1723,  pp.418-419) la Grotta di Maredolce o di S. Ciro.
Attingendo da fonti diverse il Mongitore riporta nella città di Palermo diverse "grotte" che però sono cripte e catacombe. Originale, è per quanto mi risulta, è la notizia di una grotta "Nella Contrada de’ Colli v’ha il podere de’ Padri Fatebenfratelli, è in esso una grotta alle falde del Montagna Bellieme, chiamata del zubbio . Ella s’interna nelle basse viscere del monte per più miglia: osservo un Religioso Sacerdote dello stesso Ordine, che v’entrò accompagnato da altri; che nel suo primo ingresso v’ha come una spaziosa sala: indi segue altro luogo, in cui da ogni parte si ammirano innumerevoli lambicchi, de’ quali si fece menzione a f.248. che rendono il luogo ben largo, dilettevole e vago. Camminò dentro il buon Religioso circa un miglio, e diede luogo ad un altro d’inoltrarsi più addentro: e quelli passò avanti per altro miglio: ma bisognò fermare il piede; poiché declinava il luogo all’ingiù: ed ivi udì distintamente lo strepito, come d’un fiume, che si precipitasse" (1742, II, p.318). Trattasi dell’odiena Grotta Biondo dal nome del fondo (Mannino, 2002,pp.113-116),  esplorata nel 1932 da A.Kirner, della quale ci occupammo nel 1980, con Vittorio Giustolisi, affinché non venisse cementificata per sorreggere l’autostrada Palermo-Mazara del Vallo.
Indicazioni simili alle precedenti si trovano  nel "Dizionario topografico della Sicilia" pubblicato nel 1759 da Vito Amico, che contiene  "quanto in Sicilia è degno di vedersi e di sapersi", tradotto ed aggiornato (1855-56) da  Gioacchino Di Marzo.
Qualche grotta è riportata pure da Domenico Scinà nella "Topografia di Palermo e de’ suoi contorni" del 1818. . Riporta: la Grotta delle Giarraffe. La Grotta dei Morselli, la Grotta del Passerello, la Grotta dell’Alloro, la Grotta di S.Rosalia, tutte nel Monte Pellegrino; la Grotta Perciata di Monte Gallo, quelle del Roccone di di S. Elia, oggi Montagnola di Santa Rosalia, la Grotta Mortillaro, poi Zubbio della Molara,  ora conosciuta come Grotta della Molara, oggi Riserva Naturale, auspicato dallo scrivente Parco Speleoarcheologico (Mannino, 1975) ed autorevolmente caldeggiato dal Soprintendente prof. Vincenzo Tusa (1981), infine menziona la Grotta delle Quattro Arie di cui fornisce una simpatica descrizione.
Lo Scinà  oltre che nella Grotta di S. Ciro scavò pure alle falde dei Monti di Billiemi, in due delle grotte della falesia di Malatacca  a monte dell’Ospedale Cervello (Mannino, Zava, 1994), che avevano restituito in passato ossa di "Giganti".
Se Domenico Scinà   è per l’area palermitana  il padre della paleontologia dei vertebrati, Francesco Anca lo è per la Paletnologia Siciliana. Quest’ultimo pubblica per primo, nel 1859, una sezione stratigrafica  del deposito della Grotta Perciata di Monte Gallo e della Grotta di San Teodoro in provincia di Messina, fornendo di quest’ultima una pianta e la sezione longitudinale.
Nel 1860  Falconer  pubblica una sezione stratigrafica del deposito della Grotta di Maccagnone di Carini, già allora svuotata dei sedimenti più alti relativi alla frequentazione umana, fornendo una pianta piuttosto sommaria della cavità.
Gaetano Grigio Gemmellaro, indagando nel territorio di Carini, scava nel 1966 nella Grotta di Carburangeli, oggi Riserva Naturale, e pubblica una sezione stratigrafica molto discutibile e non confermata da nessun altro scavo. Lo scavatore, del quale dobbiamo pensare non presenziò ai lavori, unificò strati diversi (se mai questi fossero stati distinti durante lo scavo) giungendo così a porre nello stesso  livello l’industria umana ed i resti, fossili e non, di Bos, Cervus, Equus ed Elephas.  Ancora il Gemmellaro, nel 1868, scava nella Grotta del Capraio e delle Vitelle a Monte Gallo, nella Grotta dei Puntali di Carini  e l’anno successivo nella Grotta Addaura ed in una grotta di Pizzo Muletta in territorio di Capaci (probabilmente nella Grotta della Paglia  e Lunga). Sono notizie fornite soltanto da Minà Palumbo (1869) perché il Gemmellaro probabilmente, come scrive il Vaufrey  e noi condividiamo, non trovò nei nuovi scavi elementi per confermare la stratigrafia che aveva creduto di poter stabilire a Carburangeli.
Nel 1878 il barone Andrian pubblica a Berlino la prima sintesi della preistoria Siciliana "Prehistorische Studien aus Sizilien" e riferisce, con maggiori dettagli, di alcuni scavi in due grotte della collina Chiarastella in territorio di Villafrati, Grotta del Porcospino e Buffa I e Buffa II, quest’ultime l’una sovrapposta all’altra, già parzialmente oggetto di precedenti scavi a cominciare dal principe di Mirto (Bovio Marconi, 1944).
Particolare menzione va fatta del marchese Antonio De Gregorio studioso di Scienze Naturali e delle più svariate discipline a cui dedicò ben 630 titoli, fu un profondo conoscitore delle nostre montagne, Presidente del Club Alpino Italiano (1899-1927).


Nascita della Speleologia nel palermitano
Formalmente la nascita della Speleologia nel palermitano si può fare risalire al 1896 con la costituzione presso il Club Alpino Siciliano di Palermo di una Commissione Speleologica. Si trattò esclusivamente di una atto formale perché non si andò oltre i lodevoli propositi "di esplorare le grotte delle nostre montagne, eseguirne i rilievi, facendo relazione delle specialità incontratevi, e compilandone appositi elenchi secondo il gruppo di montagne al quale appartengono (Riv. Sicula, 1896, p.124). Il seme dell’iniziativa non diede frutti ma soltanto qualche germoglio che è annotato in "Sicula", la prestigiosa rivista del sodalizio siciliano.
Nel 1896 Cristoforo Grisanti riferisce dell’esistenza di "sei caverne o grotte" nella Rocca di Cefalù, fra le quali la Grotta delle Giumente. Successivamente segnala le grotte della valle d’Isnello (1897, 1899),  fra queste vi è quella "degli scrosci d’acqua", che una volta esplorata diverrà l’Abisso del Vento profondo m 200. Oltre al suo notevole interesse speleologico questo sistema carsico va ricordato per la scoperta di una sepoltura, forse plurima, databile all’Eneolitico medio, rinvenuta nel primo ambiente sotterraneo (Mannino, 1989).
Alla fine dell’800 Failla Tedarli (1891. 1896) riferisce della scoperta della Grotta dei Fico e della Chiusilla, la prima nel fondo della forra ai piedi della Montagna Grotta Grande, la seconda all’inizio del Vallone della Balatelle, entrambe in territorio d’Isnello. Sono due piccole necropoli rupestri scoperte per caso o meglio come scrive il Grisanti (1899, p.12) "Causa di queste importante scoperta è stata, come era certo,  il sospetto delle trovature".Lo stesso Grisanti narra: "Certo Innocenzo Alfonso, capraio, ancora vivente, uso a vivere con le sue capre nella balze pericolose della Montagna Grande, nel marzo del 1891, interrogato da uno sconosciuto, dove fosse  la Grotta del Fico, sospettò, secondo quanto mi ha riferito,  di travatura, e, direttolo altrove, i suoi compagni Giacinto Cultrata, Giuseppe Curcio (vivi) e la moglie di costui, Lorenza Di Cesare, soprannominata Canalaro, ora morta, e per angusto forame s’introdusse in quella grotta, dove con altri del suo mestiere era stato uso ripararsi dal freddo e dalla pioggia; e, datesi a scavare un metro e più di terriccio e detrito calcareo per tre o quattro giorni continui, e sollevato con leve un gran masso, con loro grande sorpresa e maraviglia, invece di danari, rinvennero circa cento scheletri umani, infatti, asciuttissimi, gli uni sugli altri accatastati, tra essi alcuni rimaneggiati e commisti ad arena calcarea, in mezzo a cui,  a quando a quando, vasi di creta rozzissimi, quali cotti, quali no, raschiatoi o coltellini di ossidiana, museruole e coralli di pietra bianca, cose tutte che per sembrare loro strane, fortunatamente conservarono, mentre gittarono giù con dispetto e alla rinfusa fuori la grotta le ossa che rinvenivano."
Il Grisanti accenna pure alle circostanze che portarono alla scoperta della Grotta della Chiusilla (1899, p.13). "Così raro e prezioso avvenimento (la scoperta della Gr.del Fico) sorprese e convinse tutti che davvero degli uomini preistorici avevano abitato quella valle, e la mente restava dubbiosa, se altre necropoli di gente neolitica vi fossero. Era uopo dietro ciò imprendere una diligente e ben ordinata esplorazione in altre grotte, ma niuno vi si accinse. Sennonché , un nuovo accidente, e certo il sospetto della travatura, spinse alcuni, finora sconosciuti, ad esplorare il sottosuolo della grotta in contrada Balatelle, tanto prossima alle Madonie, detta della Portella della Chiusila o Chiusilla. Aiutatisi costoro, come si è potuto argomentare, con zappe e picconi nelle loro ricerche, rinvennero sotto strati  vari del suolo, una grande quantità d’ossa umane invece di denaro, e, gettatele alla rinfusa innanzi il pianerottolo di essa, delusi, si partirono". Una parte del prezioso materiale di entrambe le grotte fu recuperato da Failla Tedaldi di Castelbuono e studiato successivamente dal Giuffrida Ruggeri (1901, 1903) e dalla Bovio Marconi (1944).
Agli inizi dell’800, esplode a Termini Imerese  l’interesse per le "patrie memorie" per opera di pochi eruditi locali; anche le grotte non vengono risparmiate ! In seguito alla costruzione della "serpentina" , la rotabile che congiunge in breve tratto la città con la marina, viene portato alla luce il deposito del Riparo del Castello, che per l’enorme abbondanza di utensili  che soprattutto di schegge di lavorazione, valutabili in alcuni quintali, viene giustamente ritenuto "un’officina" del Paleolitico superiore. La Grotta di Nuovo , la Grotta Natali, la Grotta del Roccazzo o Geraci, la Grotta Marfisi o Puleri, la Grotta Pernice e qualche altra, delle quali si occuperanno anche dei naturalisti per la determinazione della fauna,vengono scoperte durante questi anni (Mannino, 2002). Tale fervore portò purtroppo allo smantellamento, quasi totale, dei depositi  antropozoici ed alla dispersione dei materiali; sopravvissero in pratica soltanto quelli dello scavo ufficiale    eseguito da Ettore Gabrici (1931) oggi conservati nel Museo Archeologico Regionale "A. Salinas".
Per pura curiosità ricordiamo il Patiri che pubblicò utensili e schegge del Riparo del Castello con le più svariati attribuzioni. Qualche titolo: "I gioielli preistorici …", "Figure animali…", "L’Arte preistorica…" (Patiri, 1900-1915). Desta molta meraviglia come tali interpretazioni abbiano trovato in uno studioso della statura di Schweinfurth un tenace sostenitore (1907).
Nel 1900, su Sicula, Diacono Dolcemascolo pubblica "Esplorazione di due grotte sul Monte Petroso"; di una cavità fornisce la pianta e la sezione longitudinale. Le stesse grotte, entrambi a sviluppo verticale, saranno riesplorate nel 1956 (Mannino, 1956).
Sempre su Sicula, in cui compare soprattutto l’attività escursionistica del Club Alpino Siciliano, sono riportate periodiche visite in grotte: nella Grotta del Garrone in territorio di Piana degli Albanesi, oggi inclusa nella Riserva Naturale della Pizzuta,, nello zubbio della Molara oggi Grotta della Molara prima citata, nella Grotta dell’Olio a Monte Gallo, nella Grotta Grattata a Gratteri, ecc. Ancora su Sicula a partire dalla fine del 1905 Paolo Revelli pubblica una serie di dotti articoli   dal titolo generale "Escursioni geografiche dei dintorni di Palermo": lezioni insuperate per la conoscen-za dei monti del palermitano e di tutto ciò che in essi s’incontra. Nel 1907 dedica un capitolo alle grotte.
Nel 1929 Mario Umiltà del Club Alpino Siciliano ha "ragione", si capirà più avanti il motivo del termine, dello Zubbio della Pietra Selvaggia, voragine inviolata del Monte Pellegrino ove il giovane speleologo raggiunge con Antonio Daneu la profondità di m 60. Tale traguardo, mi raccontò l’amico Kirner, diede nuovo vigore alle sopite rivalità tra il CAI ed il CAS.
Il CAI con un articolo "Per la conoscenza del sottosuolo Siciliano", apparso sul giornale L’ORA del 5-6 dicembre 1929 , solleva nuovo interesse per la speleologia che Ramiro Fagiani, Direttore dell’Istituto di Geologia dell’Università di Palermo, cerca di polarizzare verso la ricerca di nuovi depositi antropozoici.
Nel 1930 nasce presso il Club Alpino Italiano di Palermo il Gruppo Speleologico la cui attività si conclude nel 1933. Questa, a dire della stesso presidente Fabiani  (1932), fu molto modesta,; ci è pervenuta dalle notizie pubblicate da Di Salvo (1933), Kirner (1932, 1933, 1957) e De Stefani  (1940,1941).


GLI  SVILUPPI  DELLA  SPELEOLOGIA
La seconda guerra mondiale disperse per terre lontane i protagonisti dell’attività appena tracciata. Le biblioteche del CAI e del CAS, soprattutto quest’ultima ricchissima di pubblicazioni alpinistiche e custodi entrambi di manoscritti e di qualche schizzo di cavità, vennero distrutte dai bombarda-menti. Subito dopo il conflitto parlare di speleologia sembrava quasi assurdo, almeno per gli adulti che nelle grotte naturali e nei ricoveri scavati nel sottosuolo avevano trascorso ore di angosciosa attesa.  Quando nel 1946 viene ricostruita la sezione di Palermo del Club Alpino Italiano, ad opera di Nazareno Rovella dopo una lunga prigionia in Africa,  la gente non vuole sentire di grotte ma accetta di buon grado le gite per i monti. In una gita a Monte Cuccio con partenza e ritorno a Boccadifalco vi parteciparono circa 2000 persone !
In un clima quanto meno di indifferenza nasce, alla fine dello stesso anno, il Gruppo Speleologico "Palermo" la cui direzione viene affidata allo scrivente ancora giovane. Entusiasmo e gioventù posso sopperire solo in parte a tante deficienze. L’esplorazione delle cavità verticali veniva compiuta come cent’anni prima altrove cioè facendo uso soltanto di corde, le discese si eseguivano a "corda doppia" e le risalite con sistemi diversi in relazioni alle difficoltà ed alle capacità di ciascuno: in arrampicata, "a braccia", tirati "a sacco" dai compagni rimasti necessariamente all’esterno. Le scalette, costruite più tardi in economia, saranno impiegate quando quasi tutte le cavità a sviluppo verticale sono state esplorate. La Direzione del gruppo, dal 1946 fino al 1971, non riuscì mai ad ottenere dalla presidenza del CAI fondi per un parco attrezzi degno di tal nome non essendo questa disposta a sottrarli ad attività più appariscenti come i corsi di roccia con guide alpine, le gare sciistiche e soprattutto al Rifugio Marini  di Piano Battaglia, "zubbio" senza fondo della finanza del Club Alpino Italiano di Palermo.
L’attività del Gruppo  è stata documentata, solo parzialmente, su Montagne di Sicilia organo ufficiale della sezione palermitana del CAI.
Alla fine degli anni ’40 e nel decennio successivo, la ricerca speleologica era talora una sorta di avventura e non  tanto per l’inesperienza e la mancanza di attrezzature ma soprattutto perché il territorio palermitano, in modo particolare, era controllato dal banditismo in quel tempo dilagante. Ampie zone erano decisamente "sconsigliate". Il buon senso, ma anche espliciti inviti, impedivano di mettere piedi nei monti di Sagana, nella Montagna Longa, nel Mirabella, nel Gibilmesi, nel massiccio della Busambra, salvo per semplici escursioni e lontani dalle grotte.
Nel 1956 di ritorno dallo Zubbione della Pizzuta, in territorio di Piana degli Albanesi,  era già quasi notte, ci venne tesa un’imboscata dai carabinieri perché scambiati per banditi. Pur trovandoci in abbigliamento speleologico, tuta, casco e lampade a carburo funzionanti, fummo caricati su due camionette, sorvegliati con mitra e pistole e portati in caserma. Questo ed altri episodi simili possono essere utili a far capire la situazione nella quale veniva svolta l’attività.
Le prime ricerche ebbero inizio nella Grotta Addaura Caprara con l’obiettivo di scoprire l’intero sviluppo e, a tale scopo, si rilevò la poligonale del ramo principale (m 700); vennero esplorate anche parecchie grotte del Monte Pellegrino e di Monte Gallo.
Ora, facendo appello ai miei ricordi e servendomi di qualche appunto e delle poche notizie pubblicate tenterò una sintesi dell’attività svolta.
Nel 1953 dopo tante peripezie si riuscì a completare l’esplorazione dell’Abisso della Pietra Selvaggia, allora la cavità più profonda dell’Italia meridionale (Mannino, 1985). L’attrezzatura era allora modestissima: si disponeva solamente di qualche vecchia corda di canapa comune, per l’esattezza erano le corde adoperate dai carrettieri, dette "da carico" (da m 26 e mm 10 di diametro), spesso annodate ed i nodi davano luogo a seri problemi per la discesa "a corda doppia". Nel 1953 in virtù di una colletta, si poté disporre di un corda di m 80 costruita a bella posta da un cordaio dell’Arenella; fu chiamata "ottantino". La modesta attrezzatura  obbligo ad una lunga permanenza nell’abisso: nei pozzi si trascorsero due notti.
Nel 1954, grazie "all’ottantino" fu possibile esplorare l’Abisso Ciacca di Gratteri: un tubo di m 80 la cui discesa fu effettuata a "corda doppia"  senza moschettone per la serie di nodi nelle corde e la risalita prima "a braccia" e dopo, raggiunto l’esaurimento fisico "a sacco" (Mannino, 1954). Vennero esplorate la Grotta del Fico di Torretta ed una serie di cavità minori come quelle della Rocca Rossa di Sferracavallo, la Grotta delle tre Colonne in territorio di Altavilla Milizia (Mannino, 1954), il mitico Pozzo Minnonica , pozzo "senza fondo", rivelò il suo fondo a m 52 di profondità (Mannino, 1954). Nel 1955 fu la volta della Grotta di Brigghia in territorio di Altavilla Milizia (Mannino, 1955; Buttafuoco, 1955) della quale era apparsa una fantasiosa descrizione sul Giornale di Sicilia. Fu la volta di una seconda esplorazione all’Abisso della Pietra Selvaggia che Pippo Buttafuoco studiò in ogni dettaglio perché fosse possibile compierla senza l’appoggio esterno ed in modo che tutti potessero raggiungere il fondo dell’abisso. Buttafuco, Ruggero Carnesi, Costantino Bonomo e lo scrivente, ben affiatati ed autosufficienti, riuscirono nel loro progetto nella notte del 9 luglio e nel giorno successivo compiendo le discese a "corda doppia" e le salite in "libera" e talora "a braccia" con assicurazione del primo dal basso (Buttafuoco, 1955). Sempre nello stesso anno vennero esplorate la Grotta del Caccamo sul Monte Pellegrino, la Grotta delle Sette camere a
Belmonte Mezzano, la Grotta Marfisi a Termini Imprese, la grotta di Pizzo Minolfo nel monte omonimo, l’inghiottitoio della Battaglietta sulle Madonie (Buttafuoco, 1955, 1957): La Grotta del Ferraro (Kirner, 1933; Acanfora 1946), la Grotta del Condannato e la Grotta Niscemi tutte sul Monte Pellegrino (Mannino, 1985). Vennero ancora esplorate lo Zubbione della Pizzuta (Buttafuoco, 1955) ove per la prima volta venne impiegata una scaletta i cui pioli erano ricavati da bastoni di scopa.
Nel 1956 venne esplorato lo Zubbio del Monaco nel cozzo omonimo nella parte meridionale della catena di Billiemi ed altre fenditure di notevole pericolosità per la presenza di roccia infida ma principalmente per la presenza di frane e detriti sospesi: troppi rischi anche per una squadra di spericolati! Vennero esplorate diverse piccole cavità nella antica linea di riva del Cozzo di Riella
( Cipolla, 1927), a Monte Pellegrino la Grotta Perciata o Addaura Grande, la Grotta dei Bovidi (Bovio Marconi, 1953; Mannino, 1985), la Grotta dell’Eremita raggiunta con una breve ma molto impegnativa arrampicata (Mannino, 1985), la Grotta della Diaclasi, la Grotta "di taddariti", la Grotta del Pidocchio, una cavità a sviluppo verticale, e lo Zubbietto di S.Rosalia, tutte sul Monte Pellegrino (Mannino, 1985). Il Pozzo di Pizzo Vallefico (Buttafuoco, 1956).
La ricerca dell’Abisso Conza, la cui esistenza ci era stata segnalata dall’amico Kirner, infruttuosa perché la bocca era stata volutamente interrata, portò alla scoperta, nella stessa località, dello Zubbietto del Cozzo della Mandria e dello Zubbio del Piano Badami. Nel 1957 viene finalmente individuata ed esplorata la leggendaria Grotta di Pizzo Morabito presso Mezzoiuso: una delusione; resterebbe la speranza, che ritengo abbastanza fondata, nella disostruzione di un pozzetto che appare riempito a bella posta di pietrame. Vengono pure esplorati i due pozzi del Monte Pietroso presso San Martino delle Scale (Mannino, 1956), il gruppo delle grotte della Marinella o della Fossa di Gallo, nell’ordine: Grotta dei Vitelli o del Magaru, Grotta Perciata, Grotta dei Caprai, Grotta Regina, Grotta dei Vaccai, e lo zubbio della Marinella. A Baida si esplorano la Grotta Salerno e la Grotta Luparello, quest’ultima molto nota per il suo interesse paleontologico (Mannino et alii, 1986). A Gratteri la Grotta Grattara, la Grotta Cula, la Grotta Rossa, la Grotta dei Panni a sviluppo verticale a Pizzo di Pilo. A Monte Pellegrino viene scoperto lo Zubbio dei ragni, più tardi chiamato pozzo Kirner, ma in realtà si tratta della Grotta Bevilacqua della quale si era perduto il ricordo e comunque ritenuta a valle e non sul monte per l’errata posizione del nome sulla tavoletta.
Ancora nel Monte Pellegrino vengono esplorate la Grotta dello Spacco (Buttafuoco, 1961), il Pozzo Montagnola (Mannino, 1985), due cavità nella Montagnola di S.Rosalia (Mannino, 1995), la Grotta Conza ai piedi del Pizzo Minolfo (Mannino et alii, 1986), la Grotta degli Spiriti ai Pietrazzi, la Grotta del Mal passo, nell’omonimo sito del Monte Gallo (Mannino, 1958).
Nei territori di altri comuni vengono esplorate: a Sciara la Grotta del Drago e le Grotte i Mura Preghe (Mannino, 2002); a Godrano la Grotta di Cozzo Lupo; a Cefalù la Grotta della Rocca; a Carini la Grotta di Maccagnone molto nota per il suo interesse paleontologico studiata da Falconer (1860); ad Isnello la Grotta del Roccazzo, alla Balatelle la  piccola "grotta degli scrosci d’acqua" nella quale la disostruzione di un passaggio rivelerà l’Abisso del Vento profondo circa m 200 con circa due chilometri di sviluppo (CAI, 1973); alla Busambra, territorio di Monreale, la Grotta del Romito.
Nel 1958 una ricognizione sul Monte Catalano porta alla scoperta dello Zubbio di Cozzo San Pietro e dello Zubbio di Cozzo Tondo, più tardi riesplorati da Marcello Panzica (Spel. Sic. 1982, Mannino, Zava, 1998). Diverse prospezioni nell’area delle Serre di Ciminna hanno individuato una serie di doline con inghiottitoi ostruiti, ad eccezione dell’Inghiottitoio delle serre, che immette in una grossa cavità molto interessante e l’Inghittitoio del Trio Balate percorso per circa m 30 in una prima ricognizione, successivamente impraticabile per ostruzione.
Superate alcune formalità burocratiche col comune di Monreale venne esplorata la grotta omonima, cessato il polverone sollevato da un pittore locale, bisognoso di pubblicità, proclamatosi scopritore ignorando una relazione discretamente aderente alla realtà del 1877 (Giacinto Tua in Millunzi, 1899). La grotta si sviluppa sotto la Piazza Vittorio Emanuele con accesso da un tombino (Mannino, 1958). Nei Monti di Billiemi viene esplorato la Grotta-pozzo Vallone Guggino, a Torretta il Puzzangaro di Minticella (Mannino, 1858), a Piana degli Albanesi il Pozzo di Zalapì e di Dingoli (Buttafuoco, 1958) il Pozzo di Pizzo della Sella sull’omonimo pizzo del Monte Gallo (Buttafuoco, 1958).
Una serie di ricognizioni nell’area carsica dei Pietrazzi, a monte dell’abitato di Cruillas, dove si aprono la Grotta degli Spiriti e la Grotta della Molara, Riserva Naturale Integrale, portano alla scoperta di alcuni siti indiziati e ad una nuova cavità che si conquisterà con un pesante lavoro di disostruzione. E’ la Grotta dei Pietrazzi che più dardi ha avuto l’assurdo nome di Coniglio morto.
Nel 1959 altre cavità vengono individuate ed esplorate: il Pozzo del Frassinello a Piana degli Albanesi (Buttafuoco, 1959);  Il pozzo dello Sbanduto a S. Pristina Gela (Buttafuoco, 1959); il Pozzo della Macchiaciucia ad Altofonte (Montano, 1959); La Grotta Sorgiva di Valle Casale  a Belmonte Mezzano (Alcuri, 1959); la Grotta del Mirabello a Piana degli Albanesi ( (Figueroa, 1959);  la Grotta dell’Arenella a Monte Pellegrino (Mannino, 1959). Nello stesso anno viene eseguito il rilievo della Grotta delle quattro arie ai piedi del Monte Cuccio (Mannino, 1959); la Grotta dei Carburangeli a Carini (Gemmellaro, 1966;Mannino,2006); diverse piccole cavità nel Monte Colombrina a Carini; la Grotta Geraci a Termini  Imerese (Bovio Marconi, 1944); una serie di piccole grotte nella falesia di Malatacca-Benfratelli a Palermo (Mannino, Zava, 1994).
Sulla dorsale dei monti Billiemi viene finalmente individuato a Piano Badami, da G. Mannino e Lucia, nel corso di un’ennesima battuta nell’aprile del 1959 l’Abisso Conza segnalato da A. Kirner che ne aveva individuato l’ingresso prima dello scorso conflitto. Occorreranno cinque giornate per disostruire l’ingresso completamente chiuso da massi alcuni dell’ordine di qualche tonnellata che verranno smantellati facendo uso di una mazza. Con i suoi 80 metri di profondità prende il quarto posto tra le maggiori profondità di Sicilia. Nel 1974 Rocco Favara (Speleologia Siciliana, 1974) penserà ad una nuova scoperta ignorando la documentazione d’archivio nel Gruppo Speleologico "Palermo".
Nel 1960 il bottino di nuove cavità è più modesto. Si esplorano: la Grotta delle Volpi in territorio di Monreale, che si rivelerà una stazione preistorica dell’Eneolitico finale con materiali dello stile di Piano Quartara e Malpasso (Buttafuoco, 1960Mannino,1992,2007). L’uomo preistorico vi si recava per attingere all’acqua di un laghetto a circa 100 metri dall’ingresso (Mannino, 1992).La Grotta del Carpineto in territorio di Monreale (Pagano, 1960);  lo Zubbietto dell’Assolicchiata in territorio di Monreale (Buttafuoco, 1960); la fessura della ragnatele a Monte Pellegrino (Mannino, 1985).


DALLA  SPELEOLOGIA  ALLA  PREISTORIA

Il 1960 è l’anno che segna una lunga stasi della ricerca speleologica che porterà ad un cambiamento d’indirizzo: la ricerca preistorica.
Lo scrivente in escursioni solitarie e qualche volta in compagnia degli amici Cesare Fracassi, Lucia Pagano, Totò Bronzino, e Luigi Arcuri, ritornerà in molte grotte già esplorate, ed in altre nel frattempo segnalate, per ricercarvi l’eventuale presenza di testimonianze di arte preistorica, cioè ricercarvi incisioni e pitture preistoriche. I risultati anche in questo campo non tardarono.
La prima scoperta ebbe luogo in una piccola grotta del Pizzo Muletta presso Capaci ove, per la prima volta in Europa, vennero scoperte le incisioni lineari (Mannino, 1960). Sono delle linee incise ad andamento verticale, raramente obliquo, talora raggruppate: un rompicapo.. In Sicilia sono presenti in oltre quaranta grotte. In Italia sono state scoperte più di recente, sulla spinte delle scoperte siciliane (Mannino, 1962). Le incisioni lineari scoperte successivamente nel Riparo del Romito presso Papasidero (Cosenza), per la loro fortunata giacitura hanno permesso di datazione  queste incisioni al Paleolitico superiore (Graziosi, 1973).
Nella ricerca d’incisioni e pitture, nella quale si volle pure indagare circa l’esistenza e la consistenza dei depositi preistorici, vennero visitate oltre 200 grotte  nella provincia di Palermo e di Trapani. In provincia di Trapani viene ripercorso passo passo l’itinerario seguito da Raimondo Vaufrey nel 1925, talora anche ampliandolo e si raggiungono risultati insperati. In territorio di San Vito lo Capo nelle Grotte dell’Isolidda, fra le quali la già nota grotta Racchio,. Vengono scoperti numerosi gruppi d’incisioni lineari ed anche alcune figure di cervi ed una figura antropomorfa  a
p (Mannino, 1962, 1964; Graziosi, 1973) un gruppo d’incisioni lineari ed una figura antropomorfa a  φ nella Grotta di Cala Mancina. Nella Grotta dellUzzo impegnati nella ricerca dellinteresse archeologico del deposito sfuggiranno alcuni piccoli gruppi di incisioni lineari (Mannino,1973). Altri gruppi dincisioni lineari verranno scoperti in territorio di Custonaci: nella Grotta del Crocifisso nell’estremo Nord del Monte Cofano, Nella grotticina di Scurati e nella Grotta Miceli ed in più siti della Rocca Rumena (Mannino, 1962, 1964; Graziosi, 1973); in territorio di Val d’Erice: in un riparo a Bonaria, nella Grotta dei Porci, nella Rocca Giglio (Graziosi, 1973).
Nel territorio palermitano vengono scoperte incisioni lineari in una grotticina a monte della famosa Grotta di San Ciro a Maredolce (Mannino, 1964); alcuni gruppi d’incisioni lineari e quattro figure zoomorfe in una grotta della Montagnola di Villabate (Mannino, 2003); parecchi gruppi nelle Grotte della Montagnola di S. Rosalia (Mannino, 1995) ed anche una figura zoomorfa di bovide (Graziosi, 1983); altre incisioni lineari nelle grotte dei Vitelli, dei Caprai di Monte Gallo (Mannino, 1964, 1971), in due grotte del Monte Pellegrino tra le quali la Grotta del Condannato ai piedi della Scala Vecchia (Mannino, 1985). In territorio di Capaci vengono individuate altre incisioni lineari, dopo la già ricordata di Grotta del Pizzo Muletta, anche nella Grotta di Mastricchia (Mannino, 1964). In territorio di Torretta nel riparo e nella Grotta della Za Minica: incisioni lineari, la figura di un piccolo cervo ed un massiccio bovide nonché due pitture , quest’ultime databili all’Neoeneolitico, nel Vallone della Cala due protome taurine (Mannino, et alii, 1986); in territorio di Carini nella Grotta dei Puntali oltre ad incisioni lineari vengono individuate alcune figure zoomorfe e nei vicini ripari Armetta anche figure alberiformi, coppelle,ed una rappresentazione solare (Mannino, 1978; Graziosi, 1983). Altre incisioni lineari vengono scoperte nella Grotta delle Giumente sulla Rocca di Cefalù (Mannino, 1964; Graziosi, 1973) ed in una fessura in contrada Franco nel corleonese (Mannino, 1978). In territorio di S. Giuseppe Iato in una grotta del Monte Mirabella vengono scoperte figure antropomorfe e zoomorfe dipinte con ocra rossa (Mannino, 1996). Le ricerche furono estese anche nelle ben note: Grotta del Genovese nell’isola di Levanzo,  Grotta delle incisioni  e dell’antro nero all’Addaura e Grotta Niscemi. A Levanzo fu individuata una piccola figura di cervo (Graziosi, 1973), all’Addaura diverse figure di cervi ed equidi il cui tratto notevolmente assottigliato dall’erosione carsica della parete (Mannino, 1985) fenomeno che ha pure interessato una figura di bovide scoperta nella Grotta di Carburangeli di Carini; nella Grotta Niscemi due piccole figure di bovidi (Mannino, 1985).
Anche se il bilancio appena delineato non riguarda un’attività strettamente speleologica non può sfuggire l’importanza dei risultati ed il grosso servizio reso alla ricerca preistorica che sarebbe stato impensabile raggiungere per mano delle istituzioni.
Nello stesso arco di tempo, fra il 1960 ed il 1966, vennero compiute diverse visite in  grotte note: n ella Grotta Addaura Crapara, nella Grotta delle Quattro arie, nella Grotta della  Molara, nella Grotta dei Pietrazzi, nella Grotta del Pidocchio ed in molte altre. Vennero pure esplorate nuova cavità: la Grotta Mazzamuto ad Altavilla Milizia (Mannino, 1961), La Grotta dei Colombi nella Rocca di Cefalù,  l’antro Niscemi a Monte Pellegrino,, la Grotta Jazzu Vecchiu a Torretta,la Grotta Natali a Cacciamo, la Grotta Madonna del Ponte a Balestrate,le Grotte di Gasena a Carini, la Grotta di Punta Sbalzi, la Grotta Perciata e le Grotte di S. Cataldo in territorio di Terrasini.
Mi è doveroso ricordare pure, anche se modesta, l’attività del Gruppo Speleologico "F. Orestano"  del Club Alpino Siciliano consistita sostanzialmente in visite nelle Grotte della Molara, nell’Abisso della Pietra Selvaggia, nella Grotta Addaura Caparra, nella Grotta delle Quattro arie, nel Pozzo Minoica ed in poche altre cavità. Venne scoperto ed esplorato il Pozzetto di Montelepre.

LA  SITUAZIONE  ATTUALE
All’inizio degli anni ‘70  lo scrivente lascia il Gruppo Speleologico "Palermo" nelle mani di Totò Sammataro, affiancato da Marcello Panzica e Rocco Favara e più tardi da Ferdinado Maurici e Paolo Madonna. L’indirizzo dell’attività subisce un radicale cambiamento come si evince dalla relazione che segue cortesemente fornitami dal Regente Totò Sammataro. "Dal 1970  od oggi l’attività è stata indirizzata verso la pubblicizzazione  e la conoscenza del fenomeno carsico nelle innumerevoli fasi compresa l’evoluzione tecnica.
Il Gruppo si è prodigato nel proselitismo didattico:
accompagnando in grotte semplici, numerose comitive scolastiche;
illustrando con proiezioni il fenomeno carsico;
partecipando a quasi tutte le relative manifestazioni nazionali;      
organizzando un campo internazionale di speleologia "Sicilia Ipogea ‘76";
organizzando 12 corsi sezionali di speleologia;
organizzando un corso di accertamento per istruttori nazionali di speleologia;
organizzando otto edizioni del presepe in grotta;
organizzando la squadra di soccorso speleologico: VII° gruppo Delegazione  Speleologica del Corpo Nazionale di Soccorso Alpino.
Parallelamente all’attività promozionale Rocco Favara si è prodigato in un’intensa attività di ricerca sulle Madonie e Marcello Panzica sul Monte Catalano presso Bagheria. Per rimane nell’area del palermitano ricordo le ricerche nell’Abisso del Vento di Isnello, ai piedi delle Madonie, cavità estremamente complessa che, dopo una prima parte ad andamento prevalentemente verticale, si dirama in un intricato sistema di cunicoli e di gallerie il cui sviluppo complessivo supera i due chilometri e la profondità raggiunge m 200. Dopo un lungo periodo d’intense visite nell’abisso, da renderlo una pattumiera, ogni interesse è venuto meno prima che si concludesse l’esplorazione ed il rilievo.
Lasciate le fila del CAI ho tentato di incentivare l’attività  del Gruppo Speleologico "F. Orestano" del CAS senza riuscirvi in maniera apprezzabile. In compenso si è rivelata molto produttiva la collaborazione che il gruppo ha prestato alle ricerche del prof. Domenico Caruso  dell’Università di Catania per la cattura della fauna di molte grotte del palermitano e del trapanese (Caruso, Costa, 1978).
Lo sforzo maggiore del Club Alpino Siciliano in campo speleologico  è stato quello di promuovere la pubblicazione de
Le Grotte di Monte Pellegrino. Della  stesura sono stato ripetutamente sollecitato dall’amico  avv. Giuseppe Crispi  presidente del sodalizio. Come ho scritto nell’introduzione è un lavoro che mi è stato possibile realizzarlo grazie alla collaborazione di tanti compagni sia del Club Alpino Italiano, per la maggior parte, che del Club Alpino Siciliano.
Per completezza debbo ora accennare al proliferare di associazioni speleologiche per successive scissioni. Verso la fine degli anni ’70 dal Gruppo Speleologico "Palermo" nasce il Gruppo Speleologico "Stella Artois" e da questo, dopo breve tempo, nasce lo Speleo Club ed il Gruppo Speleologico Ercte, quest’ultimo si pose come scopo l,’esplorazione integrale di Monte
Pellegrino.
Nel 1981 nasce, presso la Sottosezione del CAI di Isnello,  il Gruppo Speleologico Stella Maronita che ha al suo attivo l’inventario della cavità esistenti nel suo territorio ed alcune esplorazioni, come mi ha cortesemente comunicato il suo segretario Giovanni Colleca.
Nulla posso riferire dei Gruppi Grotte della Sottosezione del CAI di Cefalù e di Castelbuono, nati nel 1983, perché le mie richieste d’informazioni sono rimaste inevase. Nello stesso anno è tenuto a battesimo ad Altofonte il Gruppo Speleologico "ARCI 13 Dicembre" come mi comunica Paolo Madonna, già del Gruppo Speleologico "Palermo" del CAI.
Il 25 Maggio 1983 si costituisce ufficialmente a Palermo l’Associazione Speleoarcheologica Siciliana che si vuole diversificare da tutte le altre Associazioni e Gruppi  per l’impegno di documentare e pubblicare di volta in volta il risultati delle esplorazioni. Nel 1984 nasce il Gruppo Speleologico "Nitida Arci" per l’ennesima scissione del Gruppo Speleologico "Palermo".
Non mi risulta che tante "nascite", per scissione o meno,  abbiano giovano in alcun modo allo sviluppo della speleologia, né come ricerca né come documentazione, e sarei ben lieto che venisse provato il contrario.


STORIA  DEL CATASTO DELLE  GROTTE  DI SICILIA

La prima notizia di un catasto delle grotte di Sicilia risale al X Congresso Geografico Italiano che ebbe luogo a Milano nel 1927. Eugenio Boegan presentò una breve nota Catasto delle Grotte d’Italia corredata da un elenco di "grotte e caverne esistenti in Italia allo stato attuale delle conoscenze" in cui per la Sicilia risultano 97 cavità
Ramiro Fabiani (1932), soltanto cinque anni dopo asserisce "Ora invece dalla raccolta dei dati che va perseguendo con diligenza e passione il dr. Salerno, questo numero è portato (comprese le isole minori) a ben 519 di queste 82 nel solo Monte Pellegrino". Certamente stupisce il numero indicato, molto alto anche se l’autore parla di "censimento". Non si tratta di grotte catastale come sembra precisare: "Ma tutte queste grotte, per la massima parte non sono illustrate e nemmeno completamente esplorate".
Eugenio Boegan (1933) al Primo Congresso Speleologico Nazionale tenutosi a Trieste nel 1933 nella sua relazione,  Sulle esplorazioni Speleologico in Italia, confermò la notizia del Fagiani che non trova però riscontro nella tabella annessa in cui è riportato il numero 500 e non 519.
Michele Gortani (1938) al XIII Congresso Geografico Italiano del 1938, produsse una tabella di grotte "catalogate" in Italia per un totale di 6293. La tabella elenca per la Sicilia soltanto 352 grotte, numero di gran lunga inferiore a quello suggerito cinque anno prima da Boegan. Queste contraddizioni vanno attribuite alla diversa provenienza delle informazioni: L’Istituto Italiano di Speleologia, l’Istituto di Geologia dell’Università di Palermo, di cui era direttore Ramiro Fagiani, il Gruppo Speleologico "Palermo" della sezione del CAI presieduto dallo stesso Fagiani ed i dissidenti di quest’ultimo gruppo. Il Gruppo Speleologico "Palermo era allora al servizio del Dell’Istituto di Geologia e fu proprio tale sudditanza, che incanalava l’attività verso la ricerca di nuovi depositi antropozoici tanto cari al Fagiani, che portò nel 1933 ad una scissione del gruppo e poco dopo provocò la sua fine. Quest’ultime notizie mi sono state fornite dall’amico A. Kirner e confermate da Leopoldo La Rosa, padre del mio amico Augusto, entrambi "punte" dell’attività esplorativa palermitana agli inizi degli anni trenta.
Teodoso De Stefani, vicino al Fabiani, che in pratica non si occupò mai di grotte, pubblicò nel 1941 una nota riassuntiva sulle conoscenze speleologiche nel palermitano ove asseriva: "Questo catasto, che solo in piccola parte ha ricevuto da me aggiunte e rettifiche, è già stato trasmesso all’Istituto Italiano di Speleologia di Postumia, e in esso vengono enumerate circa 700 grotte! E non sono tutte, giacche molte altre attendono di essere catalogate". Più avanti lo studioso precisa "Ma il Gruppo Speleologico, per cause che non è qui il caso di richiamare e malgrado gli sforzi della presidenza, non ebbe vita lunga; esso veniva a sciogliersi  dopo non molto tempo  dalla sua costituzione".
Viene naturale chiedersi come mai un Gruppo Grotte che non ebbe vita lunga riuscì ad accrescere le conoscenze e portarle al numero di 700.
Le contraddizioni sono  evidenziate vennero già rilevate da Cesare Saibene in Note sul carsismo in Sicilia pubblicate negli Atti del XVIII Congresso Geografico Italiano di Bari (1957). In quella sede l’autore riferisce alcune informazioni che, richiestemi dalla sua cortese assistente Dr.ssa Di Maggio,  avevo fornito nel corso di una breve conversazione presso la sede del Gruppo Speleologico "Palermo". Le notizie riferite contengono qualche inesattezza e l’occasione mi è propizia per rettificarle. La prima è contenuta nella frase: Il Mannino inoltre disse che, alla base di una accurata indagine ora in corso e che porterà alla compilazione di un catasto completo delle grotte il numero indicato dal Salerno era da ritenersi largamente superiore alla realtà". Per l’esattezza avvertiti allora che il numero di 700, indicato dal De Stefani, era troppo alto se riferito ad eventuali schede catastali rispetto alle conoscenze in campo speleologico in quel tempo in Sicilia. Ipotizzai che il numero poteva riflettere soltanto la somma delle cavità contenute negli elenchi del Salerno e nei quali le grotte erano state raggruppate, nel, migliore dei casi, per comune di appartenenza e talora per "monte". Precisai inoltre che le cavità figuravano soltanto col nome e nessuna altra indicazione.
Il prof. Amleto Bologna, vecchio socio del Club Alpino Italiano,, mi donò una trentina di anni or sono due elenchi dattiloscritti, avuti dalla famiglia Salerno, riguardanti la provincia di Palermo e Trapani in cui erano incolonnati i nomi di grotte e di pozzi ed a lato, talvolta, figurava il nome di un comune o di una montagna. Questi elenchi si trovano nell’Archivio del Gruppo Speleologico "Palermo" (oggi dispersi).Ricordo che l’elenco dei nomi non raggiungeva le 200 unità ed altresì ricordo che la successione dei nomi molto spesso mostrava, sembra ombra di dubbio,  il lavoro dal quale erano state integralmente copiati: dal Mongitore, dal Massa, dal Dalla Rosa, dal Vaufrey, dal De Gregorio e da altri. Il lavoro di copiatura era stato talmente meccanico che il suo autore aveva incluso pure, ripetendo un vecchio errore del Mongitore, molte cripte della città di Palermo. Nell’elenco figuravano anche vecchie cave in galleria come la Grotta delle Balate esistente fino allo
scorso conflitto nell’area della moderna via Marchese di Villabianca presso il palazzo dell’ENEL.
La seconda inesattezza riguarda un sommario elenco di cavità che avrei personalmente compilato e dettato. In verità allora informai che le grotte catastale erano una ventina ma molto di più erano le grotte ben conosciute che non avevo catastato perché prive della documentazione grafica. Alla dr.ssa Di Maggio mostrai un elenco di grotte che mi aveva fornito il Kirner. Alle sue insistenze di non voler  tornare a Messina a mani vuote lasciai copiare il secondo elenco non prima di avere ancora precisato di non  potermi assumere alcuna responsabilità.
Delle presunte schede del Catasto delle Grotte della Sicilia, o, più esattamente, degli elenchi di grotte inviati al Centro di Raccolta dell’Istituto Italiano di Speleologia di Postumia negli anni che precedettero l’ultimo conflitto, non è rimasta traccia e Franco Anelli, rispondendo ad una mia richiesta di 28 anni fa, mi assicurava di ricordare benissimo che a Postumia era stato inviato un elenco contenete i nomi di 300 cavità e che tale elenco era scomparso. Mi scrisse esattamente di non averlo trovato quando si recò in Germania per la restituzione del materiale di proprietà dell’istituto.. Per l’esperienza che ho accumulato non ho dubbi che tale perdita è del tutto trascurabile. Pure trascurabile è la perdita del carteggio relativo alla mia nomina di Curatore del Catasto Speleologico della Sicilia perché mi priva soltanto di citare qualche data.
La nomina risale agli  inizi degli anni ’50 e fu formalizzata nel 1962 anche con la pubblicazione di uno Statuto del Catasto Speleologico Siciliano (SSI, 1962). Fu un incarico personale, sia perché in quel tempo mi occupavo più di ogni altro di ricerca speleologica, sia per lasciar fuori le associazioni che si occupavano di speleologia; un modo per scongiurare invidie e rivalità gratuite. A Palermo la rivalità tra il Club Alpino Italiano ed il Club Alpino Siciliano risale almeno all’epoca della forzata fusione dei sodalizi imposta dal fascismo. L’incarico mi fu dato pur militando nelle fila del CAI ed onor del vero non fu mai contestato o osteggiato dal CAS.
Il Catasto delle Grotte della Sicilia non è stato mai "capito" come lavoro necessario per la salvaguardia di questo patrimonio assolutamente irripetibile che va difeso con energia. Ala negligenza degli speleologi si è aggiunta la complessità delle schede della SSI che ha scoraggiato tutti. In una ventina d’anni (al 1986) la Sicilia ha prodotto soltanto una cinquantina di schede, la maggior parte redatte da Filippo Buttafuoco e dallo scrivente per attività svolte nel Gruppo Speleologico "Palermo" e da Bruno Ragonese per il Gruppo Speleologico "Ugo Lago" di Noto.
Trail 1971 ed il 1972 la Società Speleologica Italiana, nell’ambito della ristrutturazione del Catasto delle Grotte d’Italia adotto una scheda più semplice.
Anch’io nella mia qualità di curatore cercai di fare la mia parte ed a tal fine inviai, in data 19 Novembre 1972, una lettera circolare a tutti i Gruppi Grotte di cui ero riuscito ad avere conoscenza a prescindere dall’attività da loro svolta: Gruppo Speleologico "Palermo" del CAI; Gruppo Speleologico "Fausto Orestano" del CAS; Gruppo Grotte Catania del CAI; Gruppo Speleologico "Ugo Lago" di Noto; Gruppo Speleologico "Drepanum" di Trapani; Gruppo Speleologico "Egadi" di Favignana; Gruppo Speleologico "Saro Ruggeri" di Ragusa; Associazione Speleologica Siciliana di Siracusa; Gruppo Grotte ASCI di Cefalù. La lettera, nella quale invitato tutti a compilare le schede nella più ampia autonomia essendo il mio compito soltanto quello di assegnare un numero di catasto alle varie schede, non sortì alcun effetto, né furono molte le risposte. Forse risveglio desideri "accentratori" come ho in più sedi e pubblicamente affermato.
Nel 1973 Il Gruppo Speleologico "Palermo"  propose al Gruppo Grotte Catania la costituzione di un organismo speleologico regionale con funzioni di coordinatore per il catasto e per l’attività delle associazioni fuori dell’area della propria "competenza" e soprattutto capace di reperire fondi. La proposta non andò oltre tale stadio ed un anno dopo venne rilanciata da Giuseppe Li Citra, Direttore del Gruppo Grotte Catania, che convocò un’Assemblea il 13 Ottobre 1974 alla quale parteciparono alcuni Gruppi Grotte, lo ascrivente nella qualità di Responsabile Regionale del Catasto e le Soprintendenze di Siracusa e di Palermo. Sorsero molte polemiche che alla fine portarono Il Licitata e lo scrivente, ne, Novembre del 1974, a San Pellegrino Terme nella sede del Congresso Speleologico Nazionale, ove, con l’arbitraggio del Presidente della SSI, Arrigo Cigna, vennero discusse e risolte le divergenze. Si addivenne all’annullamento della precedente Assemblea ed alla convocazione di altre, per motivi logistici in sedi diverse,  estendendo l’invito a tutti i Gruppi Grotte Siciliani di cui si avesse conoscenza, con lo scopo di giungere alla stesura di uno Statuto. Tale traguardo fu raggiunto nella riunione del 6 Aprile del 1975 a Ragusa.
La creazione di una regolamentazione equanime non servì alla nascita della Federazione Speleologica Siciliana. A dimostrazione che la costituzione della Federazione era mossa sostanzialmente da motivi velleitari che di fatto che dopo la compilazione di uno Statuto, che rispecchiava i diritti e le libertà di tutti gli associati, non si fece più nulla.
Nel 1980 il Gruppo Speleologico "Palermo", accogliendo le pressioni del Gruppo Grotte Catania, promosse una riunione allo scopo di sdoppiare la sede del Catasto Regionale e quindi creare due responsabili. Si discusse anche circa i numeri di catasto e la qualità e quantità dei dati necessari per la validità di una scheda. Il Gruppo Grotte Catania chiese ed ottenne le province orientali: Catania, Messina, Siracusa, Enna, Ragusa. Allo scrivente venne assegnato il territorio occidentale con le province di Palermo, Trapani, Agrigento e Caltanissetta. Venne inoltre stabilità le numerazione progressiva riferita ad ogni provincia, come segue:

Per la provincia di Palermo dal n. 1 al  n.  999
              "                Catania     "      1000    "  n.1999
              "            Agrigento     "       2000   "  n. 2999             
              "        Caltanissetta     "       3000   "  n. 3999
              "                    Enna     "       4000   "  n. 4999
              "               Messina     "       5000   "  n. 5999
              "                 Ragusa     "       6000   "  n. 6999
              "                Siracusa    "       7000  "  n. 7999
              "                 Trapani    "       8000   "  n. 8999

Ancora una volta in quella sede invitai tutti i colleghi palermitani ad un fermo impegno  per la compilazione delle schede mettendo a disposizione le conoscenze di ciascuno a prescindere dalle personali convinzioni ed "estrazioni". La proposta calorosamente accettata non ebbe seguito certamente per la solita diffusa indolenza.
Le affermazioni di Francesco Paolo Vivoli su Speleologia Siciliana 1978/80, nella nota Notizie Catastali, sono a dir poco stupefacenti. E’ il caso di riferirle integralmente senza commento. "Prima è opportuno fare una premessa sulla situazione del Catasto  delle Grotte della Sicilia. Da alcuni anni è sorta la necessità di riunire tutti i vari gruppi speleologici siciliani in una Federazione Speleologica, avente tra l’altro lo scopo  accumunare ed uniformare gli sforzi per la ricerca  nel rilievo di cavità isolate, premesse essenziale per avere un catasto regionale unico e privo di ambiguità. Pertanto lo scorso anno abbiamo avuto alcun i incontri con colleghi degli altri gruppi e con Giovanni Mannino, allora responsabile del Catasto Grotte. E’ emersa la necessità di dividere la Sicilia in due settori: quello Occidentale, comprendente le province di Palermo, Agrigento, Caltanissetta e Trapani, che sarà curato da noi del G. S. "Palermo", e quello Orientale, comprendente le province di Catania, Enna, Messina, Ragusa e Siracusa, che sarà curato dai colleghi del CAI di Catania. Tra Palermo e Catania avverranno scambi di dati sfruttando la seconda copia delle schede della SSI. Inoltre, per assegnare dei numeri di catasto si è deciso quanto segue: (riporta lo specchietto di cui sopra).  Ma ancora la situazione generale non è chiara: la Federazione Speleologica Siciliana stenta ad avviarsi; non siamo neppure sicuri della corretta assegnazione dei numeri di catasto per la varie province, specialmente da parte dei gruppi che non si sono presentati agli incontri.. Monto c’è da fare ; sarebbe opportuno riunirci di nuovo per rimuovere tutte le difficoltà. Per adesso in questo clima incerto, possiamo pubblicare i dati catastali ed i rilievi delle grotte della nostra provincia, a partire dal n°1. Da noi le grotte catastale sono 218, ma di queste solo una metà sono rilevate, e ancor meno quelle di cui disponiamo i dati completi (ad esempio le coordinate dell’ingresso e le caratteristiche interne); chi scrive non si stanca mai di rompere le scatole agli altri membri del gruppo per ovviare a questa lacuna. Pertanto da questo numero del bollettino pubblichiamo le grotte per le quali abbiamo già compilato i modelli della SSI che stiamo per spedire alla Commissione Centrale del Catasto Grotte. Siamo sicuri che questo articolo
susciterà l’interesse degli amici degli altri gruppi; al di la delle scarne informazioni fornite siamo sempre a loro disposizione per maggiori ragguagli ed anche per eventuali scambi di dati. ….Incominciamo con le cavità di Pizzo Muletta (Capaci) dove l’estate scorsa si è svolta una campagna di ricerche e di rilievo….".
Vivoli fa seguire un elenco di 20 cavità per le quali dai dati essenziali ed i "rilievi"; egli dimentica che tutte le cavità  (salvo due) erano state esplorate circa venticinque anni prima proprio da elementi del Gruppo Speleologico "Palermo" che hanno lasciato relazioni e rilievi di cui lui stesso si è servito. Come ho già detto prima mi astengo da ogni commento soltanto sottolineo che  parte delle affermazioni del Vivoli sono del tutto prive di fondamento come quella di attribuire al G.S."Palermo" del CAI il ruolo di Conservatore del Catasto per le province Occidentali che invece mi era stata confermata nel 1980 nelle seduta di Palermo in cui era stata votata la scissione nelle province Orientale ed Occidentale.
Nel 1961, nell’ambito di Curatore del Catasto Speleologico ho potuto assumermi l’onere di occuparmi della salvaguardia della Grotta della Molara  e della sua valorizzazione e della Grotta Biondo riscoperta durante i lavori dell’autostrada nell’area urbana.
Per quanto riguarda la Grotta della Molara ho proposto la costituzione di un Parco Speleoarcheologico (Mannino, 1975). L’iniziativa è stata raccolta dal prof. Vincenzo Tuta, Soprintendete archeologo per la Sicilia Occidentale e portata avanti per la demanializzazione della
Grotta da parte dell’Assessorato Regionale Beni Culturali ed Ambientali. A tutela della Grotta della Molara e della soprastante area carsica in data 18 Aprile 1983 ho ricordo al Procuratore della Repubblica per fermare,  come l’oggetto dell’esposto descrive, la "Degradazione del costituendo Parco Naturalistico, Archeologico, Etno-Antropologico  della Molara presso Cruillas (Palermo)".
In questa azione contro ingenti interessi privati si sono associati: il Club alpino Siciliano, i Gruppi Archeologici d’Italia,  la sezione del WWF si Palermo sollecitata da Bruno Zava, l’ARCI  Palermo sollecitata da Paolo Madonna. Ringrazio tutti e particolarmente il prof. Enzo Burgio conservatore del Museo di Geologia dell’Università di Palermo.
Il caso Molara ha provocato  un’interpellanza parlamentare che per quanto io sappia non ha mosso assolutamente nulla. Il mio esposto alla magistratura  ha soltanto prodotto una visita collegiale nei luoghi e dopo ulteriori lotte il blocco degli abusi dopo che una discarica abusiva di ogni genere di rifiuti ha sepolto eccellenti fenomeni di carsici di superficie. La Grotta della Molara,  dopo quarant’anni di mie denunzie alla Soprintendenza ai Monumenti , diverse articoli apparsi anche sulla stampa cittadina, denunzie alla Magistratura e rischi personali, da alcuni anni è una Riserva Naturale Orientata di circa 40 are gestita dal Gruppo Ricerche Ecologiche. Stento a crederlo!
Per quanto riguarda la Grotta Biondo, una cavità eccezionalmente bella ed intatta, molto è cambiato rispetto a quanto scrissi in queste stesse pagine nel 1986. La lotta serrata intrapresa da Vittorio Giustolisi, dell’Associazione Archeologica "Paolo Orsi" e dal sottoscritto, affinché non venisse riempita di cemento per sorreggere il peso dell’autostrada e del suo traffico, è miracolosamente andata in porto e soltanto dopo, con un incomprensibile ritardo, vi è stato posto il vincolo. Ora l’autostrada passa sulla grotta su un viadotto.
Ritornando al Catasto debbo aggiungere che vedendo vanificato ogni mio sforzo e cadute nel nulla le mie richiesta al Gruppo Speleologico "Palermo" di dar corpo al Catasto con la compilazione delle schede delle cavità conosciute mi sono rivolto per la collaborazione alla Associazione Speleoarcheologica Siciliana, fondata 25 Maggio del 1983 (con atto notaio Adriana Purpura, soci fondatori Vito Buffa, Bruno Zava, Marco Maceli, Roberto Cusimano e lo scrivente), proprio per colmare quei vuoti  fin ora lamentati e prima fra tutti per compiere la puntuale documentazione e pubblicazione delle cavità esplorate. A tal fine auspico la collaborazione di chiunque abbia della buona volontà.
A poco più di due anni dalla fondazione della ASS i risultati che l’associazione ha conseguito riguardo nuove esplorazioni sono modesti soprattutto perché l’attività è stata particolarmente concentrata, e lo sarà ancora, ad integrare quella messe d’informazioni e di dati raccolti dallo scrivente, in circa trent’anni (al 1986), soprattutto nell’area delle province di Palermo e Trapani grazie ad una schiera di compagni ed amici militanti nelle fila del Gruppo Speleologico "Palermo" del CAI e del Gruppo Speleologico "Fausto Orestato" del CAS.
Il Catasto della Grotte della Sicilia Occidentale è stato concretamente avviato e mi sembra di poterlo affermare avendo potuto portare a compimento un primo elenco catastale di 200 cavità della provincia di Palermo delle quali si hanno le relative schede corredate, quasi tutte, dei rilievi della cavità.  Il 4 Luglio del 1986, con atto notaio Salvatore La Spisa, Giovanni Mannino, Vito Buffa, Roberto Cusimano, Marcello Scurria, costituiscono l’Associazione Catasto Speleologico Siciliano con sede in via Thaon De Revel 22, per sopperire  alle croniche stasi della Società Speleologica Italiana e per scongiurare ogni ipotesi di trasferire ad un Ente pubblico il patrimonio fin qui raccolto.


MUSEO  REGIONALE ETNO-ANTROPOLOGICO ARCHEOLOGICO E NATURALISTICO (T
errasini).

Nel museo si custodiscono in un raccoglitore 158 schede a stampa dell’Istituto Italiano di Speleologia con sede nelle Regie Grotte Demaniali di Postumia facenti parti dell’archivio del geologo Teodosio De Stefani acquisito per acquisto. Ciascuna scheda comprende una trentina di voci e perché sia valida l’ultima voce richiede che si indichi "oltre al nome della cavità sotterranea la sua posizione topografica". In nessun caso questa voce è soddisfatta. Non tutte le cavità menzionate sono naturali come ad esempio la Grotta dell’Acqua Santa, una chiesetta scavata nella calcarenite, nota negli scorsi secoli  per una sorgiva di "acque salutari"; la Grotta Regina una "camera dello scirocco"  e non la Grotta Regina, santuario punico, alla Fossa di Gallo (Mondello).In alcuni siti come Addaura, Valdesi, Fossa di Gallo una stessa cavità è presente con nomi diversi. Mi ha sorpreso la mancanza di schede relative a cavità arcinote come la Grotta di San Ciro a Maredolce menzionata per la prima volta dal Fazello o l’Abisso della Pietra Selvaggia, con altre cavità, menzionata nella divulgatissima carta del TCI  Palermo, la conca d’Oro e Dintorni; con altrettanta sorpresa ho visto invece la presenza di schede come quella della Grotta Cappuccio che non è altro che la Grotta Biondo (Pa n.270) e la Grotta Luchiceddi da identificare, probabilmente, con la Grotta di Quararari (Pa n.385) e lo Zubbio Cappuccio che, per la menzione della "Casa Isca" fa pensare allo Zubbietto di Piano Badami (Pa n.124). Le schede portano le date del 1931-1932. Otto anni dopo il De Stefani pubblicò Materiali per uno studio scientifico delle grotte del palermitano anche qui si ignora la posizione topografica e solo per alcune cavità è indicata la tavoletta (1:25.000). Per la pubblicazione l’autore dovette accedere all’archivio del Gruppo Speleologico del CAI, allora diretto da Ramiro Fabiani, distrutto col bombardamento della sede sociale del CAI, non essendo direttamente interessato all’attività speleologico come mi confermò  Aspel  kirner uomo di punta di quel gruppo. Nel breve articolo, certamente per una svista,  l’autore attribuisce agli "zubbi" un’origine carsica; non v’è dubbio che egli sapesse la loro originale formazione tettonica: sono infatti delle fessure dell’edificio roccioso percorribili dall’uomo.  


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